Discopatia degenerativa

COS’È LA DISCOPATIA DEGENERATIVA

La discopatia degenerativa è una patologia della colonna vertebrale caratterizzata da un indebolimento del disco intervertebrale che va incontro a fenomeni di disidratazione, diminuzione della sua resistenza alle sollecitazioni funzionali e, negli stadi più avanzati, ad un assottigliamento con riduzione dello spazio tra una vertebra e l’altra.

La discopatia degenerativa si manifesta anche in soggetti in giovane età e si può associare a sciatica. Costituisce una delle principali cause di mal di schiena nella popolazione adulta.

CAUSE E SINTOMI

Il dolore lombare è presente in gran parte dei casi in cui è radiologicamente evidente l’usura di vario grado di uno o più dischi intervertebrali.

Non solo un cattivo uso della schiena, sforzi ripetuti, ma anche e soprattutto una scarsa forma fisica con mancanza di supporto da parte dei muscoli addominali e lombari che sorreggono la colonna, contribuiscono in maniera determinante allo scatenarsi del dolore persistente.

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IL TRATTAMENTO

Il trattamento è innanzitutto conservativo e si avvale dell’apporto fondamentale del fisioterapista. La collaborazione attiva del paziente in questa fase è molto importante poichè, opportunamente istruito, deve lavorare al miglioramento sensibile della propria forma fisica.

L’INTERVENTO CHIRURGICO: QUANDO OPERARE UNA DISCOPATIA DEGENERATIVA

Nei casi in cui il dolore si fa cronico ed invalidante nonostante le cure, la soluzione consiste nell’intervento chirurgico. Le tecniche operatorie sono varie e rimando alla lettura della parte del sito ad esse dedicata. Di seguito riassumo alcuni dati fondamentali:

L’intervento ha la finalità di stabilizzare lo spazio danneggiato, ovvero eliminarne il movimento e così la causa di dolore. La riduzione di flessibilità della schiena è minima se non ci si estende oltre i due dischi. L’invasività dell’intervento è bassa con QUALUNQUE tecnica attualmente venga eseguito ed i risultati sono gli stessi nonostante l’intensa campagna pubblicitaria sulle tecniche mini invasive che vengono presentate come rivoluzionarie quando non lo sono. Essere poco invasivi dipende unicamente dall’esperienza e dalla mano del chirurgo che sono di importanza cruciale. Oggi sono in grado di eseguire un artrodesi lombare con tecnica mini invasiva attraverso un incisione di 5-6 centimetri.
La degenza è di tre giorni. Il paziente si alza subito dopo l’intervento. L’attività sportiva è sospesa per almeno due mesi.

Segnalo la tendenza attuale a porre indicazione in questi casi a chirurgia con accesso anteriore (ALIF, XLIF, OLIF) che viene spacciata per mini invasiva. In realtà non lo è: comporta rischi di complicanze maggiori, due accessi, uno anteriore ed uno posteriore, ma soprattutto non è indispensabile se non in casi particolari. Non si capisce la ragione per cui sottoporre un paziente ad un intervento più lungo e con un’ incisione sull’addome o sul fianco ed una posteriore (per quanto vendute come mini invasive) quando in questi casi è sufficiente una sola incisione posteriore.

Da ricordare, inoltre, che il peso di un intervento non si misura dalla lunghezza della cicatrice. Solitamente eseguo l’artrodesi con un accesso di 5 cm, sensibilmente minore della somma delle lunghezze dei tagli per lo stesso intervento con tecnica cosiddetta percutanea o mini invasiva. Questo grazie ad alcuni accorgimenti e sopratutto all’esperienza.

A CHI RIVOLGERSI

Bisognerebbe diffidare da chi propone cure alternative e risolutive perché poi si scopre spesso che i risultati non sono né quelli desiderati né quelli promessi.

La valutazione del chirurgo vertebrale è assolutamente necessaria per valutare le migliori indicazioni e per fornire ogni chiarimento in merito.

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Dott. Antonio Diego Bruno
Specialista in Chirurgia vertebrale